Ci troviamo nel comune di Monte Romano, in provincia di Viterbo, e l’escursione di cui tratteremo qui insiste interamente all’interno dell’Azienda Agricola Roccarespampani, di proprietà del comune di Monte Romano.
Le origini di questa azienda si perdono nella notte dei tempi, e la sua storia è legata strettamente alla gestione da parte del Pio Istituto del Santo Spirito, storico ente nato dopo l’unità d’Italia con le leggi sull’eversione dei beni ecclesiastici, raccogliendo a sua volta le pertinenze dell’Arcispedale di Santo Spirito in Saxia, ed esistito fino al suo scioglimento avvenuto nel 1976. Dopo questa data, la Tenuta fu assegnata alla Regione Lazio, la quale a sua volta la diede in gestione al Comune di Monte Romano, azienda agricola inclusa.

Il percorso comincia con la visita della chiesa di Sant’Antonio Abate, situato sulla strada provinciale, edificata alla fine degli anni ’60 e con al suo interno alcuni elementi della Rocca vecchia e gli affreschi del pittore Testi con rappresentazioni di ciò che sono le principali attività della tenuta: l’allevamento e la vendita di bovini e cavalli, la caccia, l’agricoltura.

Subito dopo si comincia un lungo cammino che porta verso la macchia del Giardinetto, costituita essenzialmente da querce che periodicamente vengono tagliate per la produzione di legname.

Arrivati in prossimità del fosso Pantacciano, si possono visitare le grotte della Porcareccia, così chiamate in quanto utilizzate in passato come stalla per maiali. Esse sono ciò che resta di una tarda necropoli etrusca del periodo ellenistico, con cavità tra le più profonde del Lazio (fino a 50 metri).

Si vedono chiaramente all’ingresso di ogni grotta i segni dello stemma del Santo Spirito, che sarà motivo ricorrente per tutta l’escursione. A fianco anche una tomba a camera, fortemente modificata nel corso dei secoli ed adibita probabilmente a riparo per i pastori.

Seguendo il corso del Fosso Pantacciano ci si immette nella fitta vegetazione che dopo qualche centinaio di metri cede il passo ad una delle forre più belle che si possano trovare nel Lazio. Qui la fanno da padrone rocce ignibritiche che edificano pareti rocciose assolutamente spettacolari.

Ci troviamo nell’angolo più remoto e selvaggio della tenuta, dove il fosso Pantacciano si riversa verso il fiume Marta, l’emissario del lago di Bolsena, che ci accompagna fino alla località Pontoni da dove si può ammirare l’enorme solfatara con i suoi massi che franano sul letto del fiume. Si notano le emissioni gassose con la caratteristica vegetazione costituita principalmente dall’agrostis canina, la pianta che cresce con molta facilità in questo tipo di ambienti.

Si continua a seguire il Marta fino alla congiunzione con il fiume Traponzo, mentre dall’altra parte si può osservare l’area di pertinenza del Reparto di supporti logistici di Monte Romano. Si arriva quindi al fosso del Catenaccio, e qui c’è la parte più impegnativa dell’escursione: siamo proprio ai piedi dello sperone di tufo su cui sorge la Rocca Vecchia, e il nostro obiettivo è arrivare al mulino. Per farlo, occorre guadare il torrente e con un fuori sentiero, seguendo sempre il corso del torrente in direzione della sorgente, si arriva all’edificio della Mola.

Nonostante l’aspetto diruto, essa conserva ancora le pietre di macina perfettamente posizionate, con diversi graffiti di visitatori e di lavoranti (il tutto fa ritenere che almeno fino alla metà del secolo scorso fosse stata utilizzata).

Sulla Porta di ingresso ad arco, ancora il simbolo del Santo Spirito e nella parte più bassa una curiosa effigie di un personaggio di profilo, con due misteriose iniziali: C D.

Come tutti i mulini che sfruttano la forza d’acqua di torrenti così esigui, più a monte troviamo la diga che serviva al contenimento e alla canalizzazione delle acque, che conferisce a questo luogo selvaggio uno scenario unico.

Risalendo verso l’altura a destra della diga, ci troviamo di fronte alle mura di cinta della Rocca Vecchia, che merita qui qualche approfondimento.
Non si sa di preciso a quando risalgano i primi insediamenti su questa rupe: senz’altro da tempi antichissimi essa forniva un sicuro riparo per gli abitanti della zona, possiamo dedurre qualche informazione  in quanto sicuramente in queste valli passava la Via Clodia, strada costruita nel III sec. a.C. per collegare Roma con le principali città etrusche e con le diverse stazioni termali del viterbese (si ipotizza arrivasse fino a Saturnia). Sarà proprio l’esistenza di questa via a caratterizzare la storia della Rocca vecchia. Infatti a partire dal XI secolo la rocca fu interessata dal passaggio di mano di diverse signorie e fu sostanzialmente contesa tra il comune di Roma, le signorie di Tarquinia e i Prefetti di Vico.

 

 

Degni di menzione sono tre episodi: il primo è il periodo di occupazione di due nobili, Guidone e Nicola, che erano dediti ad azioni di brigantaggio assalendo viandanti, tagliando legname e depredando mandrie; il secondo è legato a Pietro di Nicola tuscanese, il quale, nell’ambito delle lotte con le famiglie Gatti e Cocco di Viterbo fu calato in uno dei numerosi pozzi della rocca e condannato così ad una lenta agonia; sparsasi la voce del fatto, fu presto liberato; il terzo riguarda le dispute tra i prefetti Di Vico e Roma capitanata da Cola di Rienzo che li costrinse alla cessione della Rocca. Ci saranno tutta una serie di passaggi di mano e la rocca troverà pace solo quando, nel 1456, dopo l’ennesima ribellione questa volta a causa di Francesco Sforza, signore del tempo, papa Callisto III vende le proprietà all’Arcispedale di Santo Spirito in Saxia.

Da qui in poi, il villaggio della rocca perse di interesse, e nel XVI secolo risulta già in stato di parziale abbandono. Sulle mura, potremo trovare una iscrizione su pietra che ricorda il periodo in cui il precettore Gio Battista Ruino tentò di risollevare le sorti del borgo restaurandone le mura nel 1587. Questi lavori di ristrutturazione non servirono a molto, in quanto pochi anni dopo si decise di abbandonare definitivamente il borgo in favore di luoghi più ospitali come quello della piana adiacente. La visita del borgo si rivela ostica, assai pericolosa e quindi da evitare, in quanto per i motivi appena esposti si ritrova completamente abbandonato, con mura pericolanti e diversi pozzi, anche molto profondi, aperti e nascosti dalla fitta vegetazione. Staglia sul borgo la chiesa con il suo campanile a vela, incredibilmente ancora in piedi. In prossimità delle mura del borgo, in direzione della piana, si trovano i resti di un’altra chiesetta con l’abside e ancora due grotte simili a quelle della Porcareccia.

A questo punto, si scende in direzione est per arrivare a costeggiare nuovamente il torrente Traponzo e per poter osservare le curiose conformazioni che le rocce laviche del luogo conferiscono.

Più avanti, incontriamo il ponte di Fra Cirillo, interrotto all’altra estremità dai confini del Poligono. Fra Cirillo Zabaldani è stato uno degli ultimi precettori della Rocca, e pare fosse stato lui stesso a costruire questo ponte.

Si segue la strada a salire e finalmente ci troviamo di fronte la Rocca Respampani. La possiamo osservare da dietro, e ciò che vediamo già ci racconta molto della sua storia. Eravamo rimasti nel nostro racconto al restauro della rocca vecchia; nel 1607 subentrò come precettore Ottavio Tassoni D’Este, che si fece fautore di un ambizioso quanto parzialmente irrealizzato progetto: costruire un grande palazzo sulla piana che raccogliesse la fattoria e le abitazioni di agricoltori ed allevatori della zona, convivendo con il governatore. I successori di Ottavio però non diedero seguito al progetto, in quanto stava sorgendo sulla via tra Tarquinia e Vetralla un borgo, sempre su impulso del santo Spirito, che meglio soddisfaceva i bisogni della popolazione locale che si trovava ormai un pò scomoda a vivere in un posto di così difficile comunicazione come la Rocca: questo borgo oggi si chiama Monte Romano.

Il palazzo fu lasciato così incompiuto, e possiamo così vedere il retro in cui è definito il perimetro ma dove le due torri nella parte posteriore non verranno mai realizzate. Non può essere una coincidenza che il palazzo somigli molto al castello degli Estensi di Ferrara, con il suo aspetto massiccio e squadrato,  ed il fossato che lo cinge. Davanti alla Rocca si possono vedere le recinzioni che contengono i tori delle razze charolaise e limousine, privilegiate per la produzione della carne.
In tempi passati la razza predominante era quella delle vacche maremmane, e su Facebook è possibile visionare qualche foto dell’epoca cliccando qui.

Da qui il percorso prosegue in maniera facile ed intuitiva, verso il Borgo di Rio Secco, ultima realizzazione del Santo Spirito.

 

CARATTERISTICHE TECNICHE

DIFFICOLTA’ PERCORSO: Escursionistico con alcuni tratti ripidi – Per chi è allergico, considerare che passeremo a una trentina di metri da un sito di apicoltura (E – riferimento alla tabella CAI al link https://it.wikipedia.org/wiki/Escursionismo#Italia ) – LUNGHEZZA PERCORSO: 13 km – DISLIVELLO: 500 mt – DURATA PERCORSO: circa 8 ore  PRESENZA GUADI: si

Si specifica che tutta l’area non è di pubblica fruzione, l’accesso è interdetto senza autorizzazione scritta da parte del direttore.

Per le uscite programmate su questa località, che vengono proposte almeno tre volte l’anno nel periodo tra febbraio e settembre, invitiamo a cliccare QUI

Se vuoi organizzare questa escursione per i tuoi amici, per la tua famiglia, per un compleanno o per i tuoi colleghi di lavoro con il servizio di una guida escursionistica, puoi scriverci a info@camminesploratori.com

Testo di Davide Cutugno. Foto di Davide Cutugno, Eloisa Petricca e Luciano Capogrossi Guarna. E’ vietata la riproduzione anche parziale di questo articolo e delle fotografie in esso contenute, senza autorizzazione.

 

 

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